Una vespa che trasporta una famiglia con una Milano vintage
sullo sfondo.
Proprio questa foto è cruciale nel romanzo: è la foto che ha
al centro la famiglia della voce narrante di questo romanzo, Vittoria.
Il padre di Vittoria, Louis, la mamma Regina, una
parrucchiera originaria di Torri del Benaco e il fratello, Indiano, insieme a
Vittoria, appunto, stanno andando al Bar Motta, in centro a Milano, per
festeggiare il decimo anniversario di matrimonio.
Sono gli anni “sbarluscenti”, quelli del boom economico,
quelli in cui comprarsi l’elettrodomestico appena uscito sul mercato, piuttosto
che la cucina Salvarani (quella che ha il colore del cielo e il lavello con lo
scolapiatti) è segno di stabilità economica.
Louis è molto orgoglioso di essere arrivato dov’è: un
operaio della fabbrica Innocenti che porta a casa uno stipendio fisso, che da
stabilità alla famiglia e possibilità ai figli, che si può permettere, ad un
certo punto, di comprare, addirittura, una 500, con la quale imboccare, in
Agosto, la via Emilia, per far ritorno al paese natio.
È utilizzando questa fotografia che Vittoria tenta di far
tornare la memoria alla madre, ospedalizzata in un ospedale con l’affaccio su
via Celoria (per chi non conosce Milano è la zona dell’università Politecnico),
che ha avuto un improvviso malore e relativa perdita di memoria, proprio
durante l’estate in cui l’Italia sta giocando e, incredibilmente vincendo, i
mondiali di calcio del 1982 e Vittoria e Regina sono rimaste solo: Louis è
morto anni prima, ancora troppo giovane ed in forze perché questo doloroso
evento possa risultare accettabile agli occhi della moglie e della figlia,
mentre Indiano, dopo essere entrato in seminario, si fa vedere sporadicamente e
a tratti, mentre la polizia si presenta periodicamente a casa di Vittoria e
Regina per delle perquisizioni.
È un romanzo molto evocativo ed elegante, triste da molti
punti di vista, ma anche romantico e pregno di sentimento che ha al centro la
famiglia, di cui ho apprezzato particolarmente due aspetti: la struttura dei
capitoli e la scelta di mettere i mondiali di calcio a sottofondo del triste
evento della perdita di memoria di Regina. È un contrasto che stride ma che,
nel contempo, apre alla speranza: nonostante tutto il mondo va avanti e,
nonostante tutto, c’è sempre e ancora qualcosa per cui gioire.
C’è una gioia collettiva, ci sono abbracci e sorrisi, c’è un
orgoglio nazionale, c’è un Italia che ride e urla a tutti: guardateci, siamo il
centro del mondo.
Dal punto di vista della struttura il romanzo è suddiviso in
capitoli brevi legati tra loro da una frase che termina il capitolo e apre il
successivo.
La scrittura di Giuseppe Lupo è molto bella, al contempo
fluida e ricercata, mai lasciata a sé stessa, profonda ma mai pesante. Ci
presenta questa Italia degli anni ‘60/’70 (che lui sembra amare moltissimo, da
come ce la descrive) di cui tutti abbiamo sentito un po’ parlare, magari dai
nonni, genitori o zii, che vive nel ricordo collettivo e che non va dimenticata.
Mi ha appassionata, emozionata e convinta al 100%, questo
romanzo che mi spinge a leggere tutto ciò che questo bravissimo autore ha
scritto.
Da leggere, consigliare, regalare, come io regalo a voi
questa citazione del libro:
Nessun commento:
Posta un commento