Dopo diversi anni l'Arminuta si ritrova scaricata davanti ad una casa sconosciuta, in un paesello sulle montagne abruzzesi. La famiglia che prima l'aveva voluta e cresciuta non la vuole più e la rispedisce al paese, dai veri genitori che hanno già diversi altri figli.
L'Arminuta stenta ad ambientarsi ma qui trova l'affetto dei fratelli, in particolare di due, cresce, studia, muove i primi passi nell'adolescenza, si fa donna e, al fine, ritrova anche un rapporto con la madre adottiva che, prima l'ha cresciuta, e poi rispedita al mittente senza dei plausibili motivi.
Recensione
Ho sentito parlare benissimo di questo libro, che ha vinto il Premio Campiello e, per Einaudi, è ormai alla cinquantesima ristampa e più.
Osannato su qualsiasi blog o sito letterario, tra i più letti dello scorso anno, mi chiamava da tempo.
Ebbene sì, sono un po' restia quando si tratta di leggere romanzi che tutti hanno amato, apprezzato: quando mi creo delle aspettative troppo alte rimango quasi sempre delusa. E così rimando, mi trascino e, spesso, finisco per non leggere affatto i libri osannati dalla critica.
In questo caso mi sono finalmente decisa per una ragione che potrebbe sembrare frivola: la copertina. Eh sì, la ragazza nella foto in copertina assomiglia incredibilmente a mia mamma da giovane: lo sguardo, le lentiggini, lo stupore amaro, l'ingenuità. Tutto me la ricorda!
E incredibilmente, la lettura di questo libro mi ha trascinata in un'atmosfera conosciuta, che avevo già sentito raccontare tante volte: l'Italia contadina degli anni '70, povera, dove il pranzo della domenica era polenta e un pezzo di gorgonzola.
Mi sono ritrovata dentro la povertà di allora, la vita di fatica dei campi e dei primi impieghi in fabbrica per i privilegiati, le case dove famiglie con 6 o 7 figli dividevano due stanze e tutto si svolgeva intorno ad una cucina a legna.
Quella malinconia, quell'aria cupa, la fatica di vivere, la cultura vista come tempo e soldi sprecati, la lotta di ogni giorno contro una vita di pochezza, l'austerità a volte autoimposta e, sicuramente, imposta ai figli che dovevano essere rigidamente educati per evitare che crescessero sbandati.
Mi sono ritrovata in un passato che, a casa mia, mi hanno sempre raccontato a mo' di predica, per farmi capire (e forse un po'pesare) il mio stato di privilegio.
Grazie a Dio non sono nata in quegli anni e in quella sorta di gabbia: il mio io ribelle, zingaro e folle non avrebbe di certo trovato valvole di sfogo...
Questo libro è volutamente cupo, sia nei toni che nella storia. È un libro che ti lascia tanta amarezza, anche tanto racore da un certo punto di vista.
L'autrice è stata sicuramente una maestra in ciò e l'uso del dialetto abruzzese non ha fatto altro che amplificare l'eco di questa storia triste (passatemi il termine drastico).
Perché sicuramente triste è la storia dell'Arminuta, una ragazzina spedita da una famiglia all'altra come un pacco postale, che non trova una sua collocazione, che non si sente di nessuno, schiacciata dal peso del rifiuto e che trova conforto, come spesso succede, solo nel legame di fratellanza coi propri fratelli di sangue.
È una donna che crescerà senza una vera figura materna e che, proprio per questo, probabilmente si troverà zoppa e affaticata anzitempo:
Nel tempo ho perso anche quell'idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.
È un libro che va capito, guardato un po' da lontano, la giusta distanza vi darà la lucidità per giudicarlo.
Perché durante la lettura mi ha straziato, fuori pioveva e dentro di più: da un lato volevo fuggirlo e ripudiarlo, e dall'altro avevo bisogno di finirlo.
Mi sono sentita certamente un po' oppressa nella lettura, come se una cappa grigia e scura carica di pioggia mi pesasse sulla testa.
Non so se per la storia in sé o perché mi aspettavo di più.
Forse mi aspettavo più slancio, e mi aspettavo anche qualche risvolto della storia bello, luminoso.
Avrei voluto affezionarmi di più a questa Arminuta che non mi ha del tutto catturato.
Anche se la scrittura dell'autrice vale di certo la lettura: è dotata di una schiettezza e una spigolosità che fanno di questo un bel romanzo, anche se l'ho trovato privo delle ali.
Ma questa è una pura opinione sentimentale, da sentimentale quale sono.
Titolo: L'Arminuta
Autore: Donatella di Pietrantonio
Autore: Donatella di Pietrantonio
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2017
Voto
7.5/10
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Anno di pubblicazione: 2017
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7.5/10
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