domenica 20 maggio 2018

L'ARMINUTA di Donatella di Pietrantonio

L'Arminuta è la ritornata, in dialetto abruzzese. La ragazzina protagonista del romanzo era stata data dalla famiglia biologica in affidamento ad una cugina che non poteva avere figli.
Dopo diversi anni l'Arminuta si ritrova scaricata davanti ad una casa sconosciuta, in un paesello sulle montagne abruzzesi. La famiglia che prima l'aveva voluta e cresciuta non la vuole più e la rispedisce al paese, dai veri genitori che hanno già diversi altri figli.
L'Arminuta stenta ad ambientarsi ma qui trova l'affetto dei fratelli, in particolare di due, cresce, studia, muove i primi passi nell'adolescenza, si fa donna e, al fine, ritrova anche un rapporto con la madre adottiva che, prima l'ha cresciuta, e poi rispedita al mittente senza dei plausibili motivi.
Recensione
Ho sentito parlare benissimo di questo libro, che ha vinto il Premio Campiello e, per Einaudi, è ormai alla cinquantesima ristampa e più.
Osannato su qualsiasi blog o sito letterario, tra i più letti dello scorso anno, mi chiamava da tempo.
Ebbene sì, sono un po' restia quando si tratta di leggere romanzi che tutti hanno amato, apprezzato: quando mi creo delle aspettative troppo alte rimango quasi sempre delusa. E così rimando, mi trascino e, spesso, finisco per non leggere affatto i libri osannati dalla critica.
In questo caso mi sono finalmente decisa per una ragione che potrebbe sembrare frivola: la copertina. Eh sì, la ragazza nella foto in copertina assomiglia incredibilmente a mia mamma da giovane: lo sguardo, le lentiggini, lo stupore amaro, l'ingenuità. Tutto me la ricorda!
E incredibilmente, la lettura di questo libro mi ha trascinata in un'atmosfera conosciuta, che avevo già sentito raccontare tante volte: l'Italia contadina degli anni '70, povera, dove il pranzo della domenica era polenta e un pezzo di gorgonzola.
Mi sono ritrovata dentro la povertà di allora, la vita di fatica dei campi e dei primi impieghi in fabbrica per i privilegiati, le case dove famiglie con 6 o 7 figli dividevano due stanze e tutto si svolgeva intorno ad una cucina a legna.
Quella malinconia, quell'aria cupa, la fatica di vivere, la cultura vista come tempo e soldi sprecati, la lotta di ogni giorno contro una vita di pochezza, l'austerità a volte autoimposta e, sicuramente, imposta ai figli che dovevano essere rigidamente educati per evitare che crescessero sbandati. 
Mi sono ritrovata in un passato che, a casa mia, mi hanno sempre raccontato a mo' di predica, per farmi capire (e forse un po'pesare) il mio stato di privilegio.
Grazie a Dio non sono nata in quegli anni e in quella sorta di gabbia: il mio io ribelle, zingaro e folle non avrebbe di certo trovato valvole di sfogo...
Questo libro è volutamente cupo, sia nei toni che nella storia. È un libro che ti lascia tanta amarezza, anche tanto racore da un certo punto di vista.
L'autrice è stata sicuramente una maestra in ciò e l'uso del dialetto abruzzese non ha fatto altro che amplificare l'eco di questa storia triste (passatemi il termine drastico).
Perché sicuramente triste è la storia dell'Arminuta, una ragazzina spedita da una famiglia all'altra come un pacco postale, che non trova una sua collocazione, che non si sente di nessuno, schiacciata dal peso del rifiuto e che trova conforto, come spesso succede, solo nel legame di fratellanza coi propri fratelli di sangue.
È una donna che crescerà senza una vera figura materna e che, proprio per questo, probabilmente si troverà zoppa e affaticata anzitempo:


Nel tempo ho perso anche quell'idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.

È un libro che va capito, guardato un po' da lontano, la giusta distanza vi darà la lucidità per giudicarlo.
Perché durante la lettura mi ha straziato, fuori pioveva e dentro di più: da un lato volevo fuggirlo e ripudiarlo, e dall'altro avevo bisogno di finirlo. 
Mi sono sentita certamente un po' oppressa nella lettura, come se una cappa grigia e scura carica di pioggia mi pesasse sulla testa.
Non so se per la storia in sé o perché mi aspettavo di più. 
Forse mi aspettavo più slancio, e mi aspettavo anche qualche risvolto della storia bello, luminoso. 
Avrei voluto affezionarmi di più a questa Arminuta che non mi ha del tutto catturato.
Anche se la scrittura dell'autrice vale di certo la lettura: è dotata di una schiettezza e una spigolosità che fanno di questo un bel romanzo, anche se l'ho trovato privo delle ali.
Ma questa è una pura opinione sentimentale, da sentimentale quale sono.


Titolo: L'Arminuta
Autore: Donatella di Pietrantonio
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2017

Voto

7.5/10

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