sabato 19 maggio 2018

GILEAD di Marilynne Robinson

Gilead è una lunga lettera che il reverendo Jhon Ames Boughton, ormai settasettenne, scrive al figlio di 7 anni.
Il reverendo si sente prossimo alla morte, mentre il figlio avuto in età avanzata, è solo un bambino.
Avendo avuto poco tempo a disposizione da passare col figlio si decide a scrivergli una lunga lettera dove racconta la sua vita da predicatore, la vita del nonno e del padre, anch'essi predicatori, l'incontro con la giovane moglie, il rapporto con l'amico e, anch'esso reverendo.
Il tutto ambientato nell'America della prima metà del Novecento, l'America rurale, quella legata alla religione, alla vita della chiesa. Quella più tradizionalista e arretrata. Gli Stati Uniti dell'aratro e del calesse col cavallo, per intenderci.
La storia è ambientata a Gilead (Galilea), piccola cittadina del Iowa rurale dall'ascendenza biblica, che ospita la vita della decina di personaggi che si muovono, quasi in punta di piedi, in questo romanzo molto intimista.

Recensione
Gilead è il primo di una trilogia che comprende i successivi "Casa" e "Lila" anch'essi ambientati a Gilead e di mia prossima lettura (mi piace chiudere i cerchi aperti!).
Gilead ha vinto il National Book Critic Circle Award for Fiction nel 2004 e il Pulitzer Price for Fiction nel 2005 e, vi confesso, sono stata molto spinta dai tutti questi premi della critica nella mia decisione di lanciarmi nella lettura.
Il tema religioso dal punto di vista dottrinale, infatti, non è tra quelli che più mi interessano, forse nemmeno lo capisco, diciamo pure che da certi punti di vista mi irrita e innervosisce.
Ma i pluripremiati, credo, debbano essere sempre letti, non tanto per il piacere che possono dare nella lettura, quanto per la motivazione profonda del perché sono stati pluripremiati. E anche, perché no, per metterli in discussione.
Tant'è che la domanda che mi pongo ma, soprattutto, che vi rivolgo (se avete letto il libro vi chiedo di cuore di darmi la vostra opinione perché, lo ammetto, questo libro è risultato oltre le mie capacità per tanti motivi) è: quali sono le ragioni che rendono questo romanzo più degno di nota di altri?
La bravura della Robinson sta forse nel riuscire a farci percorrere tutto il romanzo in punta di piedi, planare sulle vicende con garbo, senza eccessi, inzupparci di quella saggezza che dovrebbe essere propria degli uomini di fede?
Oppure sta nella sua abilità di ricostruzione di un Iowa arretrato, Calvinista, legato alle tradizioni, dove sposare una donna nera e generare un figlio meticcio era peccato, inaccettato, causa di segregazione razziale?
O sta nel coraggio di descrivere un uomo di fede come padre e marito fragile, dubbioso, pieno di inquietudini e di domande sulla vita, Dio, l'amore, la religione, domande che con l'approssimarsi della morte lo rendono ancora più terreno, esile, facile da spezzare? Un uomo che con queste parole ci dice un po' tutto di lui:

È l'aspetto più strano di questa vita, del sacerdozio. Appena ti vedono arrivare gli altri cambiano discorso. E poi, a volte, quelle stesse persone vengono nel tuo studio e ti raccontano le cose più incredibili. Sotto la superficie della vita si cela una gran quantità di cose, questo lo sanno tutti. Tanta cattiveria, paura, colpa, e tanta di quella solitudine, anche dove meno ti aspetteresti di trovarla.

Questo è un romanzo che ho trovato difficile per molti aspetti: per il tema, un po' troppo statico e privo di emozioni per il mio gusto. Per la scrittura perché a volte l'ho trovata complessa e poco fluida. Per l'atmosfera che la scrittrice volontariamente crea, perché, forse, troppo retrò, troppo inospitale per me.
Di certo ho apprezzato davvero tanto alcune interpretazioni bibliche e religiose, messe su carta con vera maestria (e, anche, diciamolo, con un bel po' di sfrontatezza tipica di chi, a tu per tu con la fede e Dio, ha passato tanto tempo).
Ve ne regalo alcune righe (interpretazione della parabola del figliol prodigo), che ho amato:


Gesù pone il Suo ascoltatore nel ruolo del padre, di colui che perdona. Infatti se siamo, per così dire, il debitore (e, ovviamente, siamo anche questo), questa veste non mostra alcuna misericordia in noi. E la grazia è il grande dono. Quindi, l'essere perdonati, è soltanto la metà del dono. L'altra metà consiste nel fatto che noi possiamo anche perdonare, reintegrare e affrancare, e quindi sentire la volontà di Dio attuata per nostro tramite, il che è la grande restituzione di noi stessi a noi stessi.

Questo è un pezzo di letteratura Americana che è da leggere (e, nel mio caso, da rileggere: un'unica lettura non mi ha permesso di cogliere tutto) ma, se accettate un consiglio, leggetelo accompagnato da altre letture, spezzatelo, dategli respiro. 
Non rischiate di certo di dimenticarvi l'intreccio e la storia, così facendo (è molto lineare) ma potreste avvantaggiarvi del fatto che potete digerire una pagina alla volta, dormirci su, tornare indietro e rileggere.
Leggerlo d'un fiato non credo vi gioverebbe!
A me non ha giovato e, credo, non me lo ha fatto apprezzare fino in fondo.
Ma sono certa che voi sarete molto più bravi di me!


Titolo italiano: Gilead
Titolo originale: Gilead
Autore: Marilynne Robinson
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2004

Voto

7.0/10

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2 commenti:

  1. Questa è un'autrice che ho scoperto pochissimo tempo fa, non ho ancora letto niente di suo, ma nonostante la tua recensione non sia super positiva, la mia curiosità rimane alle stelle. Voglio proprio conoscerla e capire di che pasta è fatta :)

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  2. Io l'ho trovato un po'statico per i miei gusti. Anche io non voglio desistere da leggere il resto dei suoi libri, però! Tienimi aggiornata se leggi qualcosa di suo!

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